
La seppia e l'arcobaleno: implicazioni per l'eging
Ferruccio Maltagliati (email: ferruccio.maltagliati@ unipi.it)
Università di Pisa, Dipartimento di Biologia, Unità di Biologia Marina e Ecologia, via Derna 1, 56126 Pisa
Da diversi anni oramai, lungo le nostre coste la pesca alla seppia è diventata una sorta di tradizione e con la fine della stagione estiva si tirano fuori dagli armadi le attrezzature preferite per dedicarsi completamente alla pesca di questi cefalopodi. Fatta eccezione per coloro che utilizzano ancora il metodo vintage della lenza a mano, si comincia a imbobinare mulinelli con nuovi monofili o trecciati di vari diametri e colori per arrivare poi al controllo ed alla verifica delle nostre esche artificiali, se non addirittura ad aggiungerne di nuove alla nostra oramai ragguardevole scorta. Ed è proprio parlando di questa tipologia di esche, o egi (pronuncia eghi),come qualcuno preferisce chiamarle, che viene redatto il seguente articolo sul tema della pesca sportiva delle seppie ed in particolare su come vengono percepite le esche artificiali da questi bizzarri animali.
La pesca ai cefalopodi (polpi, seppie e calamari) cui ci si riferisce è quella denominata con il termine anglo-nipponico eging (pronuncia eghin)e che viene praticata, sia da terra che dalla barca, con il gambero artificiale, il cosiddetto egi. Tutto quello che segue non intende entrare nel merito delle varie tecniche di pesca, bensì è mirato a fornire alcune informazioni su aspetti della biologia della visione dei cefalopodi, con particolare riferimento alla seppia, che giocoforza hanno importanti implicazioni per loro pesca. L'eging alle seppie è basato sul principio biologico che questi animali sono predatori che cacciano le loro prede (principalmente granchi, gamberi e pesci) sfruttando essenzialmente le loro capacità visive. È noto infatti che l'evoluzione ha dotato questi molluschi di un occhio estremamente complesso e funzionale. L'attività predatoria delle seppie si svolge nelle seguenti sette fasi: 1) individuazione visiva della preda, 2) avvicinamento, 3) rapidissimo lancio dei tentacoli per afferrare la preda (i due lunghi che terminano con le "mazze tentacolari"), 4) trasferimento della preda verso la bocca, 5) avvinghiamento della preda con le braccia tentacolari (le otto più corte) per garantirne la presa ed evitarne la fuga, 6) sminuzzamento della preda col potente becco e 7) ingestione. Nella pesca a eging, quindi, è estremamente importante, per non dire determinante, la fase 1, cioè quella dell'individuazione visiva dell'egi da parte del cefalopode. Ne deriva che il pescatore debba "presentare" visivamente l'esca nel miglior modo possibile. Per far ciò, risulta di fondamentale importanza capire come le seppie vedono la preda, perché non è detto -e di fatto non lo è- che questi animali vedano nello stesso modo in cui vediamo noi. Ma allora, come vedono le seppie?
Chi non conosce Paul Newman, Keanu Reeves, Bill Clinton e Mark Zuckenberg? Si tratta di quattro celebrità che non distinguono (o distingueva nel caso del compianto Paul Newman) i colori nella loro vita. Non per questo si può dire che essi non siano riusciti ad essere uomini di successo. Ebbene sì, anche le nostre amiche seppie hanno lo stesso "problema", vale a dire non sono capaci di distinguere i colori! Ciò non ha assolutamente impedito a queste creature marine di avere avuto un grande successo evolutivo. Forse la cecità ai colori dei cefalopodi suonerà strana per molti amici pescatori e per molti altri apparirà addirittura una baggianata. Ancora oggi riviste specializzate di pesca sportiva continuano a pubblicare articoli che evidenziano la grande importanza dei colori dell'egi. Recentemente mi è altresì capitato di essere spettatore di servizi televisivi, su canali dedicati alla pesca ricreativa, che mettono in grande evidenza l'importanza dei colori degli egi per la cattura di seppie o calamari. E poi, tra i pescatori sportivi a eging, chi non ha mai sentito pronunciare frasi del tipo: "oggi mangiano il verde!", "le ho prese tutte con l'arancione", oppure "la mattina presto ci vuole l'azzurro, poi bisogna cambiare con il rosso". Tutte queste affermazioni si basano sulle sensazioni personali dei pescatori, che, molte volte ci informano su determinate verità, ma in altri casi capita che conducano a conclusioni fuorvianti. E certamente rientra nella seconda categoria il caso dell'importanza della colorazione delle esche artificiali nella pesca dei cefalopodi!
Da biologo marino e pescasportivo tengo a sottolineare che i vecchi pescatori professionisti e ricreativi spesso ne sanno più di noi biologi su certi aspetti del comportamento, dell'ecologia e della biologia di molte specie marine non ancora sufficientemente studiate sperimentalmente dalla scienza. Faccio un esempio: i pescatori professionisti che praticano la pesca a strascico conoscono perfettamente quali sono le aree e i periodi di riproduzione del nasello o dello scampo. La biologia marina è di fatto una scienza relativamente moderna, estremamente eterogenea e complessa, in cui esistono ancora moltissime lacune da colmare (ciò, a mio avviso, è il suo bello!). Si consideri che per biologo marino s'intende sia il microbiologo marino, che tratta organismi marini invisibili ad occhio nudo, ma anche il cetologo, che studia le balenottere, cioè animali di oltre 15 metri di lunghezza e più di 100 tonnellate di peso!
Ritornando alla visione delle seppie, tempo fa mi venne in mente l'idea di metter su un esperimento finalizzato a verificare le "credenze cromatiche" dalla maggior parte dei pescatori a eging, in altre parole, avevo intenzione di testare la veridicità delle sopra menzionate "ipotesi" sull'efficacia differenziale dei colori degli egi. Professionalmente non mi occupo di biologia della visione e quindi, da ignorante in questo campo, la prima cosa che ho fatto è stata quella di documentarmi e quindi sono andato a spulciare nei database della mia Università tutta la letteratura scientifica prodotta sulla visione dei cefalopodi. Con sorpresa, ho scoperto che, a partire dalla fine degli anni '50 ad oggi, numerosi studi sperimentali, effettuati soprattutto sul polpo (Octopus vulgaris) e sulla seppia (Sepia officinalis), hanno inequivocabilmente dimostrato che i cefalopodi non sono capaci di distinguere i colori. Al che, mi sono detto: "Caspita! Questa volta i pescatori sportivi hanno proprio toppato!" Ho abbandonato pertanto l'idea di svolgere un nuovo studio sperimentale, in quanto gli aspetti che mi interessavano erano già stati ampiamente indagati da colleghi molto più esperti di me in quel campo. Tuttavia, spinto dalla curiosità scientifica, ma soprattutto da quella di pescasportivo, mi sono scaricato i formati elettronici dei vari articoli scientifici e me li sono studiati con attenzione. Riporto di seguito un sunto delle informazioni che ho estratto dagli articoli che ho ritenuto più rilevanti ai fini della pesca a eging.

Fig. 1. Esperimento di Marshall e Messenger (Nature 382:408-9, 1996) effettuato su una seppia della lunghezza di circa12 cm su fondali in ghiaia colorata opportunamente preparati (A, rosso su bianco, B, rosso su blu e C, giallo su blu). Il principio su cui si basa l'esperimento è che la seppia si mimetizza sulla base di come essa vede il substrato su cui si trova. Le immagini con indice a riportano fotografie a luce ambiente della seppia sui tre differenti substrati. Le immagini con indice b indicano i dettagli della pelle. Le immagini con indice c sono fotografie effettuate con un filtro di lunghezza d'onda pari a quella del pigmento visivo presente nella retina della seppia e simulano come la seppia vede il substrato. Si noti che in A la seppia tende a produrre evidenti chiazze mimetiche, in B la chiazzatura è molto meno marcata, mentre in C la pelle della seppia mostra una colorazione praticamente uniforme.
I primi studi scientifici sulla visione dei cefalopodi risalgono alla fine degli anni '50, quando due studiosi americani che lavoravano alla Stazione Zoologica di Napoli, Paul K. Brown e Patricia S. Brown, pubblicarono i risultati di una loro ricerca sulla prestigiosa rivista Nature. Questi biologi osservaronoche nella retina dell'occhio delle seppie e dei polpi era presente un unico pigmento visivo, la rodopsina. È da rilevare che gli animali che distinguono i colori possiedono almeno due pigmenti (l'uomo ne possiede tre). I due biologi, però, in quel lavoro non trassero conclusioni sulla visione monocromatica dei cefalopodi. Successivamente è degno di nota lo studio di altri due biologi, N. Justin Marshall e John B. Messenger, anch'esso pubblicato su Nature, mauna quarantina di anni più tardi, nel 1996. Questi studiosi effettuarono esperimenti basati sulle capacità mimetiche delle seppie. Venivano rilevati i pattern mimetici mostrati dalle seppie su substrati sperimentali impostati con differenti combinazioni di colori (Fig. X). Per farla breve, questi due autori conclusero affermando che le seppie non distinguono i colori, ma sono ben capaci di rilevare i contrasti di colore, se di una certa rilevanza. Una decina di anni dopo, un gruppo di ricerca americano condotto dalla biologa Lydia M. Mäthger condusse ricerche, i cui risultati furono pubblicati sulla rivista Vision Research,anch'esse basate sulle capacità mimetiche delle seppie in differenti combinazioni di colori del substrato. Essi confermarono la cecità ai colori nelle seppie (Fig. Y) ed aggiunsero che questi animali sono in grado di risolvere contrasti di colore inferiori al 15%. Un paio di anni più tardi, nel 2008, lo stesso gruppo di ricerca, condotto da Alexandra Barbosa pubblicò su Vision Research che la risoluzione dei contrasti nella seppia è di circa il 5%, un valore abbastanza basso, che indica come questa specie riesca a distinguere molto bene i contrasti di colore. Si consideri che l'uomo è in grado di distinguere contrasti fino al 2% ed il gufo, animale notturno dalle capacità visive eccezionali, fino all'1%.

Fig.2. Due egi con differenti colorazioni e identico disegno con striature nere. A, visione degli egi da parte dell'uomo; B, simulazione di come vengono visti dalla seppia. La rappresentazione in B è stata ottenuta con una risoluzione dei contrasti un poco inferiore e sulla base della lunghezza d'onda (λ=492 nm, corrispondente al colore verde) assorbita dal pigmento presente nella retina dei cefalopodi. Si noti che ciò che appare cromaticamente differente all'uomo è invece identico per il cefalopode.
A questo punto vorrei riferire su una curiosità che ho incontrato scartabellando la letteratura scientifica sulla visione nei cefalopodi: ad oggi sono stati studiati i pigmenti visivi soltanto di alcune specie di cefalopodi; tra quelli studiati, tutti posseggono un solo pigmento visivo nella retina, che è in accordo con una loro visione monocromatica. Esiste però un'eccezione. Il 'calamaro lucciola' del Pacifico occidentale, la Watasenia scintillans, che possiede tre pigmenti visivi nella retina. Si tratta dell'unica specie di cefalopodi "sospettata" di possedere capacità distintive dei colori.
Ma allora polpi, seppie, calamari e totani devono essere considerati organismi "ipovedenti disabili"? Certo che no, tutt'altro! In un articolo pubblicato nel 2011 sulla rivista Philosphical Transactions of the Royal Society B da un gruppo di ricercatori australiani facenti capo a N. Justin Marshall, viene riportato come l'ambiente acquatico sia ricco di stimoli polarizzati che possono fornire informazioni importanti agli animali che sono sensibili a questo tipo di radiazione elettromagnetica. Senza entrare nel merito della biologia della visione della luce polarizzata, né tantomeno della complessa fisica di questo tipo di radiazione elettromagnetica, riporto soltanto che questo tipo di sensibilità è stata dimostrata sia nei cefalopodi che nei pesci. Tuttavia, questi due gruppi di animali la utilizzano per finalità diverse: i cefalopodi se ne servono sia per comunicare tra loro che per l'individuazione di prede e predatori; mentre i pesci la usano soprattutto per la navigazione e l'orientamento. In particolare, nei cefalopodi è stato visto che le risposte agli stimoli polarizzati sono qualitativamente comparabili con quelle ottenute dai forti contrasti rilevabili con la visione "normale". Ciò suggerisce che la sensibilità alla luce polarizzata rappresenta un canale visivo autosufficiente che comunque aumenta le capacità visive totali e quindi migliora la percezione dell'ambiente circostante da parte del cefalopode.
Che dire quindi della scelta dei colori dell'egi nella pesca dei cefalopodi? Quel'è il colore migliore? Beh, alla luce di quanto riportato sopra, il colore non è certamente la variabile più rilevante, anzi...! Probabilmente, una certa importanza la hanno i disegni dell'egi (per es. striature o macchie ben contrastate rispetto al colore di base dell'egi), che sono senz'altro individuabili dal cefalopode. Rimane ancora molto da capire sulla riflessione dell'egi nei confronti della luce polarizzata, che potrebbe essere un aspetto aggiuntivo assai importante per scatenare l'istinto predatorio della seppia. A mio modesto avviso, l'assetto dell'egi in acqua e, soprattutto, il movimento impresso dal pescatore sono gli aspetti da tenere in maggiore considerazione in questo tipo di pesca.
Concludo affermando che tutte queste informazioni scientifiche ottenute tramite sperimentazioni e non basate su sensazioni personali, in aggiunta alla propria esperienza, rappresentino un buon elemento di partenza su cui basarsi quando organizzeremo le nostre future uscite a seppie.